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I DISEGNI SEGRETI DI DANTE

14 LAZZI FRIZZI E BOLLE DI SAPONE

 

Dedicato a chi ama il volo, il Pindaro Analogico, le ali di Pegaso… a chi sa raccogliere le bolle di sapone per decorare il pino di Natale! A chi non si ferma davanti a nulla, e che profondamente sente che l’Alighieri è per davvero il Mago dell’Impossibile, e ben per questo INIMITABILE, come aggiungerebbe il buon Contini. Vi porto dentro un Ospedale, ma non uno qualsiasi, invece uno proprio particolare perché è completamente privo di medici e di operatori sanitari. Abitato però solo da migliaia e migliaia di degenti abbandonati a loro stessi, e condannati a soffrire tutti i loro mali, di diversa natura e ben elencati dal Poeta, ma a questo punto consultate i dantisti accademici che ne sanno sempre una più del diavolo.

Invece a noi potrebbe venire in mente l’improbabile metafora di una nostra Italia logorata, insana e andata in pezzi, completamente priva di cure e di medici buoni, ma io rispondo che adesso stiamo volando troppo in alto! (Forse). Siamo al trentesimo canto dell’Inferno, dentro l’ultima Decima Bolgia, nella tremenda discarica della frode di tutte le frodi: quella della Menzogna, quella del Mal Seme d’Adamo.

Ebbene sì: si parla dei BUGIARDI. Ma non troverete mai questo vocabolo dentro tutti i manuali del mondo: questi parlano solo dei FALSARI. Ma chi dice il falso, oggi come oggi, rimane sempre un BUGIARDO, nella nostra corrente lingua.

Il grande FALSARIO DI PAROLA si chiama Mastro Adamo, malseme di menzogna. Se state rincorrendo la prima bolla di sapone, scivolate fino al canto ottantesimo (Paradiso, XIII), opposto speculare e sincronico al canto trentesimo: troverete le parole di Tommaso che conferma la saggezza infinita del Vero Adamo connesso alla Sapienza del suo Creatore, e quindi unico uomo sapiente in terra (insieme al Re Salomone). Ebbene sì: ADAM KADMON ben contrapposto a tutta l’Umanità Adamica che, in piena consapevolezza, non sceglie Strada di Sapienza, ma la deviazione oscena della Menzogna. Posso dirlo? La peggiore incarnazione del Male, che ci insegue da migliaia di secoli, e che fonda proprio sulla BUGIA del Serpente la perdita del nostro paradiso. Non quello terrestre: ogni consorzio umano diventa un inferno se viene governato dai bugiardi, così ciascuno di noi perde il suo paradiso.

Io vidi un, fatto a guisa di leuto,

pur ch’elli avesse avuta l’anguinaia

tronca da l’altro che l’uomo ha forcuto.       51

La grave idropesì, che sì dispaia

le membra con l’omor che mal converte,

che ’l viso non risponde a la ventraia,          54

facea lui tener le labbra aperte

come l’etico fa, che per la sete

l’un verso ’l mento e l’altro in sù rinverte.    57

(Inf,. XXX)

 Io ne vidi uno che sarebbe stato uguale a un liuto, se solo l’inguine fosse stato separato dalle due gambe. La grave idropisia, che, a causa della linfa smaltita male, deforma a tal punto le membra che il viso è assai più magro dal ventre, lo spingeva a tenere le labbra aperte come fa il tisico, che per la sete tiene il labbro superiore in alto e quello inferiore verso il mento.

Un corpo gonfio di acqua, tanto che le gambe sono incollate al ventre nascondendo i genitali: come un ventre di pecora dal quale bevono acqua i pastori, e, se non fosse così, assomiglierebbe a un liuto.

Quanto si paga, nascondendo la VERITÀ! Eppure in vita Mastro Adamo fu un LIUTO, dolce carezzevole avvolgente, battendo falsa moneta per poi finire al rogo senza pentimento alcuno!

Un viso magro magro e un ventre gonfio gonfio, pieno d’acqua, ma che muore di sete. E ancora se li sogna i ruscelletti limpidi delle sue valli l’Adamo Malseme!!!

Ma a noi viene in mente la Lupa carca di tutte brame, che più mangia più ha fame!

La linfa smaltita male si chiama FRODE FALSITÀ e MENZOGNA: le bugie che ti capovolgono le cellule e che ti anagrammano le membra, e che degenerano i tratti del volto, e mostruosamente mutano la forma del corpo. Chi è in grado di guardare con gli occhi dell’anima, i BUGIARDI li riconosce al volo! Hanno sempre la bocca aperta, parlano sempre e a volte urlano per difendere tutte le loro false verità, impedendo con una aggressività da lupi che qualcun altro parli al posto loro. La bocca aperta dalla voracità che pretende sempre di ingozzare il loro ventre che non sarà mai sazio, anche vendendo l’anima al demonio come Mastro Adamo l’ha venduta, battendo il falso, ai Conti Guidi (quelli di Poppi che ospitarono l’Alighieri in esilio per quasi dieci anni: li conosceva bene!).

Come un tisico, loro hanno sempre la bocca aperta in cerca di aria (fritta) per riempire di vento le pance delle pecorelle (parole di Beatrice, XXIX Paradiso), facendo spettacolo e parlando da tutti i pulpiti, soprattutto nel nome della Verità e dell’ETICA!

ETICO non vuol dire soltanto TISICO! Difficile catturare bolle di sapone se non si riconosce la magica sapienza linguistica del Poeta!

Da sempre, col carisma dell’Etica, si frodano popoli interi, diabolicamente sostituendo al VERO il FALSO.

Di BUGIARDI, eticamente ammantati e ben sostenuti, ne abbiamo le fabbriche piene.

E per fortuna non sono io a dirlo, ma lo sottolinea bene lo stesso Alighieri in molte parti del Poema, mettendo ovviamente il clero corrotto e bugiardo in prima fila (nel Cofanetto Dantesco troverete tutto).

Ma voi vi chiederete come sta messa la pena del contrappasso: finisce così? che tutti i bugiardi finiranno malati all’ospedale? Non fatevi ingannare da un candido letteralismo!

I bugiardi pure all’inferno finiscono sempre in rissa violenta, in ira spasmodica che li fa urlare insultando con parole dure e affilate che sembrano coltellate. Ma con una variante di non secondario interesse: sputano in faccia all’altro la nuda trasparente reale VERITÀ.

Mastro Adamo e Sinone (che convinse i Troiani a far entrare il Cavallo dentro le mura di Troia), per un malaugurato gesto del braccio impiantano una lite fragorosa ed epica, in dialogo serrato e velocissimo che trasuda da ogni parte sentimenti di odio di rabbia di dolore e di VERITÀ.

I dantisti accademici la sdoganano come esempio classico di comicità dantesca.

Eppure è vero. Piacciono sempre le risse e fanno pure aumentare l’audience! Anche Dante guarda ascolta e non schioda davanti allo spettacolo. Forse per godersi la lite, o il linguaggio colorito dei litiganti, o l’energia che ci mettono pur essendo dannati ammalati… o perché due bugiardi incalliti stanno riversando violentemente l’uno contro l’altro la Vera Verità???

Catturatela bene questa bolla di sapone, anche perché interviene Virgilio a rimproverare Dante con molta determinazione.

Ad ascoltarli er’io del tutto fisso,

quando ’l maestro mi disse: «Or pur mira,

che per poco che teco non mi risso!».        132

Quand’io ’l senti’ a me parlar con ira,

volsimi verso lui con tal vergogna,

ch’ancor per la memoria mi si gira.         135

E fa ragion ch’io ti sia sempre allato,

se più avvien che fortuna t’accoglia

dove sien genti in simigliante piato:

ché voler ciò udire è bassa voglia».     148

 Io ero tutto attento ad ascoltarli, quando Virgilio mi disse: «Continua pure a guardare, che manca poco che io non litighi con te!» Quando io lo sentii parlarmi con ira, mi voltai verso di lui con una tale vergogna che è presente ancora nella mia mente.

“… e sii certo che io ti sarò sempre al fianco, se mai avverrà ancora che il destino ti conduca dove ci siano genti che litigano in questo modo: infatti, voler ascoltare certe risse è volontà vile”.

Si entra in vibrazione bassa, in bassa voglia, quando ci si incanta davanti alle risse, ma soprattutto quando le risse ci affogano, inconsapevolmente ingannati, dentro le acque nere della menzogna.

Ringraziamo il bisturi affilato del Poeta: quando i bugiardi scoppiano finiscono sempre col dire la verità. Solo all’inferno però. Non aspettatevi nulla dai bugiardi in terra.

Così termina il trentesimo canto.

Ma io penso che questo canto riconosca la sua vera soluzione proprio nel suo incipit.

Già, un azzardatissimo ribaltamento diabolico:

Nel tempo che Iunone era crucciata

per Semelè contra ’l sangue tebano,

come mostrò una e altra fiata,           3

Atamante divenne tanto insano,

che veggendo la moglie con due figli

andar carcata da ciascuna mano,      6

gridò: «Tendiam le reti, sì ch’io pigli

la leonessa e ’ leoncini al varco»;

e poi distese i dispietati artigli,           9

prendendo l’un ch’avea nome Learco,

e rotollo e percosselo ad un sasso;

e quella s’annegò con l’altro carco.    12

Nel tempo in cui Giunone era adirata contro la stirpe tebana a causa di Semele, come dimostrò in due occasioni, Atamante divenne a tal punto pazzo che, vedendo la moglie che andava tenendo in braccio i due figli, uno per parte, gridò: «Tendiamo le reti, così che io possa catturare la leonessa e i leoncini»; e poi protese gli artigli spietati, prendendo uno dei due che si chiamava Learco, e lo fece roteare in aria e lo scaraventò contro un sasso; la moglie si annegò tenendo l’altro figlio.

Ovidio scrive che Giunone, gelosa dell’amore di Zeus verso Semele (sorella di Ino ed entrambe figlie di Cadmo) fino a causarne la morte, infierì in seguito contro la sorella Ino e contro il marito di questa (Atamante) facendolo impazzire. Egli, nella sua pazzia credette di vedere una leonessa e dei leoncini (secondo altri, dei cervi) invece di sua moglie e dei suoi due figli, così cominciò a dar loro la caccia, afferrò il figlio Learco e lo sfracellò contro uno scoglio e successivamente scagliò Melicerte in mare ed Ino, per cercare di salvarlo si tuffò, ma annegò insieme a lui.

L’Alighieri conferma la versione di Ovidio, disegnando nei primi dodici versi la fosca e tragica nube di tradimenti, vendette, ire divine e obnubilamento del vero trasformato in falso… che non a caso costellano il mito dionisiaco.

Giunone, che per Dante è la regina dell’inferno, si vendica del tradimento di Zeus uccidendo Semele, madre di Dioniso figlio di Zeus. E poi costringe il cognato di Semele (Atamante) ad uccidere moglie e figli trasformandoli ai suoi occhi in leonessa e leoncini.

Una storia gotica e infernale, degna della decima bolgia, degna del malseme di Adamo!

A farla breve, secondo me andrebbe letta così: Giunone uccide la Mater del Figlio di Dio (Dioniso) e stravolge gli occhi degli uomini colmandoli del falso che sostituisce il vero: gli uomini preferirono le tenebre alla luce… missione adattissima per la regina degli Inferi.

I BUGIARDI, che vivono di tradimento di ira e di menzogna, non possono far altro che generare morte e disperazione. In ogni tempo e in ogni luogo.

Interviene nell’incipit una vibrazione più elevata di quella “bassa voglia” che invece conclude il canto: il valzer dei canti 30-80 rivela qualcosa di molto più grande attorno alle vendette e alle menzogne. Si percepisce, fragile come una bolla di sapone, la strada che conduce ad Adam Kadmon e il totale e necessario abbandono della deriva di Mastro Adamo, cioè di tutta l’umanità corrotta.

La strada che dobbiamo percorrere, cammino iniziatico per Dante, che parte dagli inferi, ma perché è necessario: il solo che serve per giungere alla Luce.

Cammino di Sapienza, strada per persone che sanno di essere un mistero che cammina su due gambe, di chi è alla VERA ricerca di se stesso, di chi ha deciso di non farsi ingannare.

Strada Cristica, strada di Verità. Ma inoltre si può anche pensare allo stesso Dioniso, fulcro di tutte le tragedie della corte di Cadmo, padre di Semele, di Ino e di Agave. Dio morto e risorto, bandito dall’Olimpo e che si aggira in terra fra gli uomini che in molti però non riconoscono. Fra tutti Penteo (in greco il Privo di Dio), il figlio di Agave che pretende di spiare le Menadi nella foresta (le sacerdotesse di Dioniso), fra le quali c’è anche Agave in persona. Sarà lei ad incitare le compagne a catturarlo e a fare a pezzi tutto il suo corpo. La notte giunonica le aveva coperto gli occhi e non ha riconosciuto suo figlio.

Così l’Alighieri ricuce  la strada che non vogliamo vedere: dalla perversità della menzogna ci conduce verso la nostra più dolorosa ferita, alle bugie nefande che raccontiamo noi a noi stessi, quando decidiamo di privarci dello Spirito, del Senso del Mistero, e di diventare soli ed esiliati dall’Universo e dalla sua sacralità. Privi di Dio diventiamo polvere marcia, sabbia mobile sopra la quale regneranno per sempre solo serpenti e scorpioni. I BUGIARDI per antonomasia.

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I DISEGNI SEGRETI DI DANTE

13 PERCHÉ BEATRICE SIEDE ACCANTO A RACHELE?

 

Lucia, nimica di ciascun crudele,

si mosse, e venne al loco dov’i’ era,

che mi sedea con l’antica Rachele.

(Inf., II)

Siamo al secondo canto dell’Inferno e Virgilio sta raccontando a Dante come Beatrice sia scesa al Limbo per pregarlo di correre a salvarlo. Canto del Complotto d’Amore ordito da Maria, Lucia e Beatrice, infrangendo tutte le leggi divine perché Maria teme il pericolo di morte per un suo FIGLIO.

I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio». Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremìa:

 «Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più».

Così sta scritto nel Vangelo secondo Matteo, e ancora oggi, nella Tradizione, Rachele protegge tutte le madri che hanno perso un figlio. E Rachele, sepolta ancora a otto chilometri di Gerusalemme al confine dell’allora Regno di Israele e del Regno di Giuda (terra di Rama) piange sempre il massacro degli Innocenti, di un dolore infinito, privo di consolazione. E, come ogni madre, soffre se vede i suoi figli in pericolo. Se è vero che la Comedìa è ordita di risonanze, di minimi dettagli, di analogie, di filigrane pressoché invisibili… allora è vero che in questo momento, in modo subliminale, percepiamo il pianto di Rachele come fosse l’eco dell’ordine di Maria imposto a Lucia: corri a salvare questo mio figlio che ti fu sempre fedele!

E possiamo anche immaginare il seguito del dramma: lo sguardo di Rachele a Beatrice, e forse accompagnato da parole appena sussurrate: sì, corri a salvare l’uomo che ti ha amata tanto!

Rachele è solamente nominata, rimane fissa immobile muta, ma come una presenza assente: nel suo esserci e non esserci, indica con determinazione il dolore di tutte le donne, e amplifica e restituisce a tutto il femminile umano quello che fu lo strazio di Maria ai piedi della Croce. Se veramente ci facessimo travolgere da questo infinito pianto, forse la smetteremo di riempire migliaia di libri che sostengono che l’Alighieri si è sognato il Poema perché dormiva!!! Ed evitando di aggiungere che invece si trattava di una totale anestesia dell’anima. Quella morte interiore o quel sonno verticale, che ormai pervade il pianeta, e pure i suoi abitanti incapaci di aprire gli occhi sulla REALTÀ. Da migliaia di anni trasciniamo i piedi appesantiti dalla zavorra del dolore, ma ormai questo pesante bagaglio possiede un nome, e anche i più addormentati potrebbero leggerlo se solo volessero. Il dolore delle donne appartiene esclusivamente al loro corpo: loro danno la vita e, contemporaneamente, danno la morte. Rachele ha generato due figli con Giacobbe: Giuseppe e Beniamino. Dando alla luce quest’ultimo, è morta di parto. La stirpe di Giuseppe sarà schiava per 450 anni in Egitto, fino a quando Mosè libererà il suo popolo. Davide, Mosè e il Cristo sono invece discendenti di Lia, sorella di Rachele e prima moglie di Giacobbe. La stirpe dei 3 Liberatori: la Radix Davidica.

Il Viaggio di Dante, e quello di tutta l’umanità, è una lunga guerra fra lo stato di schiavitù e la speranza della liberazione. Intesa dal Poeta soprattutto come dimensione interiore dell’anima, in ogni individuo per se stesso preso. Siamo lasciati soli in questa guerra? Ad ascoltare le parole di Dante, direi proprio di no: l’intero Universo complotta alle nostre spalle, tramando i molteplici e infiniti  percorsi della Materia, e anche di tutte le nostre Vite. Dante stesso conquista la Libertà nel nome di questo complotto d’amore. Oserei azzardare: letteralmente si tratta di un complotto paradisiaco; a livello anagogico riguarda la giustizia infinita, eterna e intoccabile, delle Leggi che regolano l’intero universo.

Siamo tutti destinati a un percorso di LIBERAZIONE, in terra.

Rachele appare una seconda volta nel XXVII del Purgatorio, quando Dante per la terza volta si addormenta sul monte della guarigione (Dante non sogna il Poema, ma è un grande regista dei suoi sogni!) e appare ancora nella sua assenza presente, o nella sua presenza assente, come preferite.

Ne l’ora, credo, che de l’oriente,

prima raggiò nel monte Citerea,

che di foco d’amor par sempre ardente,

giovane e bella in sogno mi parea

donna vedere andar per una landa

cogliendo fiori; e cantando dicea:

«Sappia qualunque il mio nome dimanda

ch’i’ mi son Lia, e vo movendo intorno

le belle mani a farmi una ghirlanda.

Per piacermi a lo specchio, qui m’addorno;

ma mia suora Rachel mai non si smaga

dal suo miraglio, e siede tutto giorno.

Ell’è d’i suoi belli occhi veder vaga

com’io de l’addornarmi con le mani;

lei lo vedere, e me l’ovrare appaga».

(Pgt., XXVII)

Nell’ora, credo, in cui Venere mattutina (che sembra sempre splendere di amore) apparve da oriente sul monte, mi sembrava di vedere in sogno una donna giovane e bella che passeggiava in una pianura, cogliendo fiori; e cantando diceva: «Chiunque chiede il mio nome, sappia che io sono Lia, e vado muovendo intorno le belle mani per farmi una ghirlanda. Qui mi faccio bella per ammirarmi allo specchio; mia sorella Rachele, invece, non si stanca mai di specchiarsi e sta tutto il giorno seduta. Lei è desiderosa di vedere i suoi begli occhi, tanto quanto lo sono io di agghindarmi con le mani; lei è appagata dal guardare, io lo sono dall’operare».

Sogno enigmatico che, come tutti i sogni, nasconde in se stesso parecchie dimensioni interpretative.

Innanzi tutto appare come il Grande Addio dei Dioscuri: i due daimones che ci proteggono nell’età dell’adolescenza e che occupano 25 canti del Purgatorio donandoci anche il dono dell’Anima Intellettiva. Sono gli stessi Gemelli che dominano il segno zodiacale della nascita dell’Alighieri. Polluce, l’Immortale, e Castore, il Mortale, donano nel Purgatorio la Doppia Navigazione, loro che sono stati anche marinai sulla nave degli Argonauti: la conoscenza dell’Invisibile e del Visibile. Insegnano a Dante, e pure a noi, che ogni individuo per se stesso presso ha il diritto di conciliare in se stesso questi due Opposti: contemplare (Rachele) e attivarsi (Lia) costituiscono i nostri due modi insolubili dell’Essere. Legati così, come lo sono Materia e Spirito, come il nostro essere orizzontali e verticali insieme, anche se spesso ce ne dimentichiamo.

Come seconda analisi abbiamo il Viatico dei Dioscuri: ogni daimon dona un viatico a Dante per la continuazione del viaggio. Farinata gli ha donato la virtù del Perdono, di se stessi e di tutti gli altri, per poter continuare il viaggio infernale; i Dioscuri donano la Terra Promessa, ma non la Gerusalemme terrena, bensì la Gerusalemme Celeste. Il canto 61 (Sogno di Lia) è collegato da una corda rettilinea al canto 89 (san Benedetto), quando Dante si trova sulla Scala di Saturno, la Scala di Giacobbe che conduce alla Gerusalemme Celeste, e che si trova nel segno dei Gemelli (nel vertice 87-88 viene collocato, nella Geometria del Poema, proprio questo segno zodiacale). E Benedetto è colui che ha ben sottolineato il valore di unire sempre dentro di noi l’agire e il contemplare: ORA ET LABORA.

In terza analisi sappiamo bene che Lia si colloca dentro la genealogia davidica: la discendenza dei 3 Liberatori. Rachele invece occupa il ramo della stirpe di Giuseppe: la discendenza degli schiavi d’Egitto. Se superate tutte le pastoie letterali, comprendete bene che Rachele è il silenzio sofferto della schiavitù dell’Attesa. Lia invece è il lungo progetto attivo della Liberazione. Rachele amata da Giacobbe, ricambia da subito il suo amore, ma per unirsi a lui dovrà attendere quattordici anni. Nei primi sette anni Giacobbe è schiavo di Labano, con la promessa di poter sposare sua figlia Rachele alla fine indicata da questo contratto. Ma al momento delle nozze si presenta, ben nascosta dal velo, Lia, che così inganna e sostituisce Rachele. Giacobbe trascorrerà altri sette anni di schiavitù per poter sposare la sua amata.

In quarta riflessione, possiamo paragonare la fisica e incomparabile bellezza di Rachele, con l’aspetto fisico di Lia, che invece lasciava molto a desiderare, come sottolinea bene il testo biblico. Nascendo, è proprio inevitabile che, in prima battuta, facciamo l’esperienza del Piano Materico, con tutta la sua aspra, addolorata e sgradevole densità. Crescendo ci attende il consapevole incontro con la sublime bellezza della manifestazione e, quindi, con lo Spirito. Nessuno potrà mai toglierci questo cammino, se veramente lo desideriamo. Che è, poi, lo stesso cammino di Dante.

Nel XXXII del Paradiso si ripete la stessa informazione del canto secondo dell’Inferno:

«La piaga che Maria richiuse e unse,

quella ch’è tanto bella da’ suoi piedi

è colei che l’aperse e che la punse.

Ne l’ordine che fanno i terzi sedi,

siede Rachel di sotto da costei

con Beatrice, sì come tu vedi.

Sovrapponendo la Geometria dei Canti a quella della Candida Rosa, otteniamo la posizione dei sogli di Rachele e di Beatrice. Rachele coincide con il canto sesto dell’Inferno, e Beatrice con il settimo.

Sedute accanto, ma virtualmente separate dal diametro 6 e 7/56 e 57, che separa coloro che hanno creduto al Cristo Venturo e al Cristo Venuto.

Fermo restando che tutti i Beati sono collocati nell’Empireo in contemplazione del Punto di Luce (DIO), le due Geometrie sovrapposte indicano anche i Cieli di appartenenza così come li ha visti Dante nel viaggio paradisiaco dalla Luna al Primo Mobile.

I terzi sedi, come li definisce Bernardo, si contano partendo dall’alto e non dal basso, e il punto più alto è quello centrale, cioè DIO. E quindi escludiamo il Terzo Cielo di Venere appartenente, secondo molte esegetiche, a Beatrice, perché si tratta del Terzo Cielo contando dal basso (Luna-Mercurio-Venere)

Voi vedete l’immagine della Candida Rosa in proiezione piana, ma non funziona così: in effetti sono due ipercubi sovrapposti, improponibili al nostro sguardo, tanto che non si possono nemmeno costruire qui in terra visto che noi siamo immersi nella terza dimensione e non nella quarta. Per farvi un esempio banale, ricordatevi dei lampioncini cinesi fatti di carta leggera e chiusi appiattiti in proiezione piana, come vedete nell’immagine. Per aprirli occorre prendere il centro e portarlo verso l’alto. E quindi per aprire la Candida Rosa dovete fare lo stesso gesto: prendere il centro e portarlo verso l’alto, e troverete in alto il punto di Luce e l’Empireo, Maria ai piedi di Dio, ai suoi piedi Eva, e ai piedi di Eva la stessa Rachele, ma con una dovuta precisazione, tenendo anche conto che le Gerarchie Angeliche sono NOVE.

Contiamo i cieli dal basso:

Luna – Angeli / Mercurio – Arcangeli / Venere – Principati /

Sole – Potestà/ Marte – Virtù / Giove – Dominazioni

Saturno – Troni / Volta Stellata – Trionfo del Cristo

Primo Mobile – Cherubini / Empireo – Serafini

Il Primo Mobile e l’Empireo (nono e decimo cielo) sono completamente assenti al nostro sguardo: Universo Parallelo che ci contiene pur essendo da noi contenuto, sono parole di Dante! A distanza immisurabile oltre la Volta Stellata (e il Poeta conosceva bene la profondità immisurabile del Cielo delle Stelle Fisse! O almeno intuiva una profondità che ora noi valutiamo come un cielo che contiene centomila galassie!), che è appena appena il confine dei nostri occhi.

Dentro la Mens Dei, dunque, dentro il fuoco d’amore che circonda il Punto di Luce, dentro il cielo che solo amore e luce ha per confine, si collocano le altissime autorità, al confine del Cielo delle Stelle Fisse, e da qui possiamo iniziare a immaginare la posizione dei Sogli.

(Empireo-Serafini e Primo Mobile-Cherubini: la Mens Dei)

Stelle Fisse – Il Trionfo di Cristo / Saturno – Contemplanti

Giove – Giusti / Marte – Fedeli  / Sole – Sapienti

Venere – Amanti / Mercurio – Attivi / Luna – Mancanti

Il Terzo Cielo dall’alto è quello di Giove, Cielo dei Giusti: coloro che parlano con la voce di Dio.

Scartiamo quindi anche Saturno, presente in molte esegetiche come Cielo di Beatrice. Perchè si dovrebbe iniziare a contare da un punto totalmente invisibile, cioè dalla Mens Dei, Mistero dei Misteri e Sigillo dei Sigilli.

Quindi Rachele e Beatrice sono sedute accanto nel Cielo di Giove, Cielo di Giustizia, e dominano il sesto e il settimo canto dell’Inferno, al vertice interno fra le prime due punte della stella, e parlano come i Beati Giusti: con la voce di Dio. Ancora una volta gli Opposti si superano e si riconciliano in queste due figure: al Giusto viene affidato il compito altissimo del piano misterico: l’annullamento degli Opposti. E quindi, in questo caso, la fusione irreversibile di Spirito e di Materia, di Contemplazione e di Azione, di Padre e Figlio.

Chi parla con la Voce di Dio, è, per sua natura, un DAIMON. Rachele è il daimon di Giacobbe come Beatrice è il daimon di Dante. Maestri interiori che ci guidano verso il nostro destino, la nostra missione, se non opponiamo resistenza.

Il sesto canto parla dei Golosi e di Ciacco. Il settimo canto parla degli Avari e dei Prodighi che non hanno un nome, ma sono quasi tutti clerici. E tutto questo al primo livello del testo. Invece, in profondità, il sesto canto parla del Nutrimento Vitale, cantando insieme al 56 che indica il valore del Nutrimento del Cibo Sapienziale, insieme al poeta Stazio che fu un prodigo. Il settimo canto parla del Destino e della Sorte e canta con il 57: incontro con il poeta Forese Donati che fu un goloso, ma che indica il valore del daimon (nel suo caso la moglie Nella) che è in grado di controllare custodire e mutare il nostro destino (la moglie ha pregato per lui perché fosse più breve la sua pena, ed è stata esaudita). Insomma questa è ancora una grande magia svelata dalla struttura geometrica del Poema: Rachele domina il cerchio dei golosi, ma ci conduce al prodigo Stazio. Beatrice domina il cerchio degli avari e dei prodighi, ma ci conduce al goloso Forese. Forse non è una coincidenza, ma senz’altro non può essere un inutile dettaglio: in verità Rachele e Beatrice hanno assolto il loro gravoso compito di annullamento degli opposti, e ora vivono, fuse insieme, dentro la stessa luce e dentro lo stesso respiro. Come tutti i Beati. Quell’esperienza che sarà svelata a Dante, dentro un tempo brevissimo come un  attimo fuggente, nella visione del canto cento.

Rachele, dal sesto canto dei golosi inaugura una delle quattro Vie Sapienziali: la Via del Nutrimento Vitale, così come Cacciaguida definirà il Poema di Dante:

Ché se la voce tua sarà molesta

nel primo gusto, vital nodrimento

lascerà poi, quando sarà digesta.  132

(XVII., Par.I)

Rachele che piange tutti i suoi figli, ci parla della prima cosa che mette in affanno le madri: come nutrirli? E di che cosa nutrirli? E le risponde il canto del prodigo Stazio che, argomentando della bellezza della poesia insieme a Virgilio (mentre Dante, molto orgoglioso e curioso, li segue) viene interrotto da una voce fuori campo che rimprovera duramente i tre poeti: non avete ancora capito che dovete abbandonare il gusto del poetare? sarebbe ora di alimentarsi di SAPIENZA!

Poi disse: «Più pensava Maria onde

fosser le nozze orrevoli e intere,

ch’a la sua bocca, ch’or per voi risponde.

E le Romane antiche, per lor bere,

contente furon d’acqua; e Daniello

dispregiò cibo e acquistò savere.

Lo secol primo, quant’oro fu bello,

fé savorose con fame le ghiande,

e nettare con sete ogne ruscello.

Mele e locuste furon le vivande

che nodriro il Batista nel diserto;

per ch’elli è glorioso e tanto grande

quanto per lo Vangelio v’è aperto».

(Pgt., XXII)

Acqua ghiande miele e cavallette, spirito intelligenza anima intellettiva e corpo reintegrato: vero nutrimento che conduce alla Sapienza.

Beatrice dal settimo canto ci parla del Destino e della Sorte. Dante chiede a Virgilio: perché in terra la sorte muta velocemente lo stato delle cose? Nazioni e famiglie intere, da ricche diventano povere, e da gran fortuna cadono in disgrazia, mentre altre vivono un destino contrario? In questo canto si ravvisa il segno del grande astrologo che fu l’Alighieri. Per un tema natale, secondo l’astrologia medievale, si interrogavano prima di tutto i due Luminari: il Sole e la Luna. Al Sole veniva affidato il DESTINO. E alla Luna la SORTE, chiamata anche FORTUNA.

«Maestro mio», diss’io, «or mi dì anche:

questa fortuna di che tu mi tocche,

che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?».

E quelli a me: «Oh creature sciocche,

quanta ignoranza è quella che v’offende!

Or vo’ che tu mia sentenza ne ’mbocche.

Colui lo cui saver tutto trascende,

fece li cieli e diè lor chi conduce

sì ch’ogne parte ad ogne parte splende,

distribuendo igualmente la luce.

Similemente a li splendor mondani

ordinò general ministra e duce

che permutasse a tempo li ben vani

di gente in gente e d’uno in altro sangue,

oltre la difension d’i senni umani; 

per ch’una gente impera e l’altra langue,

seguendo lo giudicio di costei,

che è occulto come in erba l’angue.

Vostro saver non ha contasto a lei:

questa provede, giudica, e persegue

suo regno come il loro li altri dèi. 

Le sue permutazion non hanno triegue;

necessità la fa esser veloce;

sì spesso vien chi vicenda consegue. 

Quest’è colei ch’è tanto posta in croce

pur da color che le dovrien dar lode,

dandole biasmo a torto e mala voce;

ma ella s’è beata e ciò non ode:

con l’altre prime creature lieta

volve sua spera e beata si gode.

(Inf., VII)

Io dissi: «Maestro mio, ora spiegami: questa fortuna di cui tu mi parli, e che ha i beni del mondo tra i suoi artigli, che cos’è?» E lui mi rispose: «O uomini sciocchi, quanta ignoranza vi danneggia! Ora voglio che ascolti attentamente le mie parole. Colui la cui sapienza supera tutto (Dio) creò i cieli, e dispose delle intelligenze angeliche per governarli, così che la sua luce si rifletta di cielo in cielo e si riverberi con giustizia nell’Universo. Allo stesso modo, dispose un’intelligenza per governare e amministrare i beni terreni, che li trasmutasse al momento opportuno tra le varie famiglie e le varie stirpi, al di là dell’opposizione del senno degli uomini; perciò una famiglia prospera e un’altra decade, in base al giudizio della fortuna che è nascosto, come il serpente che si annida tra l’erba. La vostra sapienza non la può contrastare: essa provvede, giudica e attua i suoi decreti, proprio come le altre intelligenze angeliche. Le sue trasmutazioni non hanno tregua; deve essere veloce per ottemperare il volere divino; così succede spesso che vi siano mutamenti di condizione. La fortuna è colei che è tanto criticata anche da coloro che dovrebbero elogiarla, e che invece la biasimano e insultano a torto: ma lei è felice e non sente tutto ciò: lieta, insieme agli altri angeli, fa girare la sua ruota e gode la sua serenità.

Questo è il canto che ci fa riflettere bene sulla differenza che passa fra DESTINO e SORTE, che spesso noi usiamo come omonimi uno dell’altro.

Una entità angelica è preposta, per volontà misterica, a causare le grandi crisi che travolgono le nazioni e i singoli individui. Un altro daimon collettivo che governa incontrollabili mutamenti (…vostro saver non ha contasto a lei) che costringono l’umanità stessa a capovolgere i suoi progetti, a stravolgere la sua vita, ad espandere sempre di più la propria coscienza. Ogni individuo per se stesso preso, costretto a creare per sé nuovi riferimenti e rinnovati punti di vista. La SORTE, così improvvisa che ti colpisce a sorpresa, regola ogni nostra singola trasformazione nel bene e nel male.

Invece il DESTINO è previsto, prescritto, fisso, immutabile, patente e luminoso come il Sole. A questo destino ci conduce il nostro daimon, se gli lasciamo il diritto di parlare.

Su questo canto si colloca il soglio di Beatrice, daimon personale del destino di Dante.

Ed è lei che conduce il Poeta da uno stato di schiavitù a quello della liberazione.

Tu m’hai di servo tratto a libertate

per tutte quelle vie, per tutt’i modi

che di ciò fare avei la potestate.

(Par., XXXI)

Tu mi hai riportato alla libertà dalla schiavitù, per tutte quelle strade e in tutti quei modi per cui tu avevi il potere di fare questo.

Il POTERE del daimon. Che è una entità angelica, ma che l’Alighieri sa ben trasformare con la sua grande passione per i travestimenti. Il suo daimon è DONNA, e Lia e Rachele, travestimento dei Dioscuri, rappresentano la salvezza, e la conciliazione fra il Pensiero e l’Azione.

Ci resta nelle orecchie il pianto infinito di Rachele per tutti noi, travolti dalla sorte che non ci evita cadute precipitose, guerre, massacri, dolore, stati di schiavitù, lutti e disperazione. E molto spesso a causa di coloro che strisciano nell’erba come serpenti. Anche questi tempi nostri sono tempi d’apocalisse, di guerre e di lacerazioni. Confidiamo nelle parole di Virgilio, non lanciamo insulti contro l’angelica Fortuna! Forse, proprio lei che ha gli occhi coperti da una benda, complotta alle nostre spalle, come hanno fatto Maria Lucia e Beatrice, e solo per il piacere di aprirci gli occhi.

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I DISEGNI SEGRETI DI DANTE

12. I GIORNI DEL VIAGGIO DI DANTE

 

Aggiungerei volentieri una delle tante rivelazioni della Geometria Sacra del Poema dantesco, che è, appunto (XXVIII Paradiso).

… quale stella par quinci più poca,

parrebbe luna, locata con esso

come stella con stella si collòca. 21

74: Beatrice parla della NECESSARIA PASSIONE del Cristo.

75: Dopo l’agonia iniziata NEL MEZZOGIORNO PIENO (XXXIII Purg.) il Cristo muore alle ore 15 del venerdì santo 1301. Nel Cielo di Venere, cielo di Bellezza di Dolcezza e di Filosofia, Amore della Sapienza e Sapienza d’Amore, in cui il Cristo si trasfigura realmente in EROS INFINITO, contrapposto al Sigillo 24-25-26, luogo di THANATOS in cui i Ladri muoiono e risorgono senza saperlo.

76: Cunizza da Romano ratifica la conquista dello Spirito, così come Ulisse ratifica nel canto 26, diametralmente opposto al 76, la conquista dell’INTELLIGENZA. Cunizza, Folchetto da Marsiglia e Raab, sono i tre Beati del 26: anime transitate da amori deviati verso l’infinito Eros.

La croce del Cristo è circondata da peccatori ed ex-peccatori: cosa abbastanza facile da realizzarsi su questo pianeta.

Cristo muore in terra, e su questa terra scorre il suo sangue, che ancora scorre nelle nostre vene se preghiamo che questo accada.

La Terra, alchemicamente parlando, è il diametro orizzontale e PASSIVO della circonferenza che viene trafitto e fecondato da quello verticale e ATTIVO.

I due Sigilli dell’Anima Intellettiva (canto 50) e del Corpo Igneo Reintegrato (canto 100): dalle TENEBRE alla LUCE (nel 50 tutto è NOTTE del fumo dell’ira, nel 100 tutto è LUCE).

Le conoscenze alchemiche dell’Alighieri mi consigliano di tenerne conto.

Come ho scritto nel libro QUEST’UOMO E’ DA SALVARE (gratuito on-line al sito mariacastronovo.it), il Viaggio di Dante coincide con tutta la settimana di passione dal 25 marzo al 2 aprile del 1301, Pasqua di Resurrezione, Nono Giorno dell’Ultimo Giudizio (i  Beati Dante li vede vestiti del loro Corpo Risorto) in cui tutto si compie nel ritorno di TUTTE LE COSE al principio del MISTERO, al ritorno all’UNO, al totale superamento del MOLTEPLICE e del DOLORE DEGLI OPPOSTI. Le coincidenze temporali del viaggio di Dante con la settimana di passione del Cristo, che inizia nel canto XIII, Domenica delle Palme, 26 marzo 1301, sono tratte dalla comparazione con i 4 Vangeli. E siamo nella Selva dei Suicidi, e spero che comprendiate al volo la differenza che passa fra la scelta del suicidio, e quella di morire consapevolmente per donare all’Umanità la VITA NOVA.

Secondo il vangelo di Giovanni, le ultime parole di Gesù sulla croce furono “Tutto è compiuto!”, espressione che in greco è resa dal termine tetelestai. Questa parola ricorre in Giovanni 19:28 e 19:30.  La radice deriva dal verbo teleo che significa “portare a termine” o “porre fine”. Si tratta di una parola importantissima perché sta a indicare l’esito positivo di una particolare azione. Quelli che vivevano nella Palestina del I secolo la sentivano spesso e in una varietà di contesti. Ad esempio, un servo diceva “tetelestai” al suo padrone, quando finiva il lavoro affidatogli; il sacerdote diceva “tetelestai” quando, dopo aver esaminato l’agnello sacrificale, ne stabiliva la perfezione cerimoniale.

Nel greco neotestamentario, “tetelestai” è al tempo perfetto. Questo è importante perché il tempo perfetto si usa per esprimere un’azione che è stata completata in passato con risultati che continuano a manifestarsi nel presente e nel futuro. Se il tempo passato denota un evento già accaduto, il tempo perfetto reca in sé l’idea di “ciò che è avvenuto ed è ancora oggi in vigore.” Gesù gridando “Tutto è compiuto”, intendeva dire “è compiuto in passato, è ancora compiuto nel presente, e continuerà ad essere compiuto nel futuro”, come conferma John R. W. Stott, noto studioso e commentatore evangelico. Si noti un’altra realtà: Gesù non disse “Io sono finito”, il che avrebbe implicato che era morto stremato e sconfitto. Egli gridò: “Tutto è compiuto”, cioè “Ho eseguito con successo il compito per il quale ero venuto”. “Tetelestai” è dunque il finale grido di vittoria del Salvatore. Quando morì, Cristo non lasciò dietro di sé nulla in sospeso.

Nel canto 75 TUTTO SI COMPIE, NEL PASSATO NEL PRESENTE NEL FUTURO.

Da questo canto fino all’alba del canto 100 scorrono esattamente le 40 ore di adorazione del Cristo nel mondo dei morti, tradizione popolare ai tempi di Dante e in seguito istituzionalizzata dalla Chiesa Romana.

Il Paradiso inizia nel mezzogiorno pieno del venerdì santo: o nel paradiso si vola alla velocità della luce, ma conoscendo il genio dell’Alighieri mi rifiuto di crederlo! oppure si controllano i canti del Mattutino e del Vespro, che sono due:

DILIGITE IUSTITIAM QUI IUDICATIS TERRAM (salmo del mattino, XVIII Par.)

SALVE REGINA (canto del Vespro, XXIII Par.)

Due albe e un tramonto, per cui il Paradiso è un viaggio che dura due giorni e mezzo, il Purgatorio dura tre giorni e mezzo (Eden compreso), e l’Inferno ovviamente misura tre giorni di viaggio per un totale di NOVE.

NOVE, perfettissimo numero pitagorico, l’Oceano in cui sfocia l’infinità di tutti i numeri, magico endecasillabo del canto 33 del Paradiso… DA UN FULGORE IN CUI SUA VOGLIA VENNE…

Quando Giove fulmina la mente di Dante per fargli comprendere che significa tornare all’UNO.

Numero riservato a Beatrice, al daimon privato di Dante, alla missione che deve essere compiuta e che deve compiersi.

Ci sono dantisti che nel settimo giorno collocano la Pasqua.

Ci sono dantisti che nel settimo giorno collocano la Morte del Cristo.

Ci sono muliercule, casalinghe e nascoste, che possono permettersi di chiedere a tutti coloro che stanno leggendo: ma perché tanto terrore del Nono Giorno? Ma perché tanto terrore della salvezza di tutti???

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I DISEGNI SEGRETI DI DANTE

11. DUE GIUGNO: BUON COMPLEANNO!

Pare proprio che sia nato il 2 giugno… secondo gli studi preziosi e professionali di Giovangualberto Ceri. Così come dimostra il suo Tema Natale, doviziosamente compilato, sulla nascita del Poeta.

Dante Alighieri nato il 2 giugno 1265.

tema natale di Dante Alighieri

Io non so quasi nulla di astrologia, ma si può veramente credere che questa Carta Natale perfettamente corrisponda alle parole di Beatrice nel canto XXX del Purgatorio.

«Voi vigilate ne l’etterno die,

sì che notte né sonno a voi non fura

passo che faccia il secol per sue vie;         105

onde la mia risposta è con più cura

che m’intenda colui che di là piagne,

perché sia colpa e duol d’una misura.        108

Non pur per ovra de le rote magne,

che drizzan ciascun seme ad alcun fine

secondo che le stelle son compagne,           111

ma per larghezza di grazie divine,

che sì alti vapori hanno a lor piova,

che nostre viste là non van vicine,              114

questi fu tal ne la sua vita nova

virtualmente, ch’ogne abito destro

fatto averebbe in lui mirabil prova.             117

Ma tanto più maligno e più silvestro

si fa ‘l terren col mal seme e non cólto,

quant’elli ha più di buon vigor terrestro.     120

Alcun tempo il sostenni col mio volto:

mostrando li occhi giovanetti a lui,

meco il menava in dritta parte vòlto.           123

Sì tosto come in su la soglia fui

di mia seconda etade e mutai vita,

questi si tolse a me, e diessi altrui.               126

Quando di carne a spirto era salita

e bellezza e virtù cresciuta m’era,

fu’ io a lui men cara e men gradita;              129

e volse i passi suoi per via non vera,

imagini di ben seguendo false,

che nulla promession rendono intera.           132

Né l’impetrare ispirazion mi valse,

con le quali e in sogno e altrimenti

lo rivocai; sì poco a lui ne calse!                   135

Tanto giù cadde, che tutti argomenti

a la salute sua eran già corti,

fuor che mostrarli le perdute genti.                138

Per questo visitai l’uscio d’i morti

e a colui che l’ha qua sù condotto,

li prieghi miei, piangendo, furon porti.          141

Alto fato di Dio sarebbe rotto,

se Leté si passasse e tal vivanda

fosse gustata sanza alcuno scotto

di pentimento che lagrime spanda».              145

«Voi (Angeli) vegliate nell’eterna luce di Dio, così che né la notte né il sonno vi sottraggono alcun passo che il mondo compie nelle sue vie (sapete tutto ciò che accade sulla Terra); perciò la mia risposta ha lo scopo di farsi sentire da colui che piange al di là del fiume, perché il dolore sia commisurato alla colpa. Non solo grazie all’influenza dei Cieli, che indirizzano ciascun essere al suo fine secondo la virtù della stella che presiede alla sua nascita, ma anche per la generosità della grazia divina, che piove da nubi così alte che la nostra vista non può neppure avvicinarsi, questi (Dante) nella sua gioventù ebbe tali virtù in potenza che in lui ogni buona attitudine avrebbe portato a straordinari risultati. Ma un terreno si fa tanto più cattivo e selvatico, con cattive sementi e quando non è coltivato, quanto più esso è dotato di fertilità naturale. Per qualche tempo sostenni Dante col mio volto: mostrandogli i miei occhi giovani, lo conducevo con me sulla retta strada. Ma non appena io fui sulla soglia della mia giovinezza e cambiai vita (morii), questi tradì la mia memoria e si diede ad altre donne. Quando mi ero trasformata da carne a spirito e la mia bellezza e virtù erano accresciute, io gli fui meno cara e meno gradita; e rivolse i suoi passi per una via fallace, seguendo false immagini di bene, che non mantengono nessuna promessa fatta. Non mi servì ottenere dal Cielo buona ispirazione, con cui lo richiamai in sogno e in altro modo; a lui importò così poco! Cadde tanto in basso, che ormai ogni mezzo per salvarlo era inefficace, salvo che mostrargli le genti perdute (i dannati). Per questo visitai la soglia dell’Inferno (il Limbo) e rivolsi, piangendo, le mie preghiere a colui (Virgilio) che l’ha portato fin quassù. L’alta volontà di Dio sarebbe infranta se Dante superasse il Lete e gustasse una tale vivanda (bevesse l’acqua del fiume) senza provare un pentimento tale da fargli versare lacrime».

In sintesi: avevi mille talenti, ma hai tradito te stesso. Hai tradito anche me. Ora devi pentirti e piangere.

Accusa diretta anche a noi, che siamo bravissimi a tradirci da soli! Perché Dante è sempre individuo, ma resta pur sempre anche collettivo!

Da grande astrologo conosceva perfettamente il suo Tema Natale. E allora, ma solo per gioco, diamo una spiata furtiva e dilettante agli aspetti dei pianeti nelle sue case, secondo la ricerca di Giovangualberto Ceri che pone il suo ascendente in prima casa, nel segno dello Scorpione.

GEMELLI ASCENDENTE SCORPIONE

È affascinante, astuto, intelligente, ironico. Intriga con quel pizzico di mistero che lo avvolge, che magari non è nemmeno tale ma fa parte della sua aura, e circonda la sua persona. Il suo modo di pensare e di reagire è diverso da quello della maggior parte delle persone. Lui va a fondo delle cose, analizza chi lo circonda, e non accetta le spiegazioni accettate da tutti. Potrebbe essere anticonformista, nel senso di avere idee sue particolari. Detesta l’ipocrisia, i luoghi comuni, l’accettazione passiva di quello che si dice in giro. Pensa con la sua testa ed è orgoglioso di essere indipendente. L’autonomia è una delle sue caratteristiche più spiccate. Se lo fanno irritare, reagisce usando la sua astuzia e la sua ironia da gemelli doc che nelle mani dell’ascendente scorpione diventano vere e proprie armi da guerra! Nel lavoro, si fa avanti contando sul suo intuito e sulla sua prontezza mentale. Le sue doti lo aiutano a rimanere a galla anche in situazioni complicate, dove magari qualcun altro si sarebbe scoraggiato. È in gamba, e si nota!

SOLE IN OTTAVA CASA

Il sole in ottava casa è una chiara indicazione del fatto che l’anima dell’individuo è a suo agio e si sente realizzata nell’imprevedibilità dell’esistenza e nel caos della passione. Vogliono essere l’estrema autorità per quanto riguarda il sapere nascosto. Sono individui pieni di risorse, e hanno un’aura misteriosa e crepuscolare, hanno un enorme potere e lo tengono nascosto con grande cura. Il sole nell’ottava casa è una posizione molto intensa, l’autostima avrà degli alti e bassi molto forti e inaspettati e l’individuo andrà incontro a situazioni drammatiche, moriranno molte volte nella vita, ma ne usciranno sempre rinati e più forti. Il loro senso di completezza e confidenza viene dalla loro capacità di stravolgere e stupire la gente con i loro comportamenti inortodossi. Sono navigati nel sapere dell’occulto e loro stessi possono diventare streghe o maghi.

LUNA IN TERZA CASA

Persone altamente intellettuali, sono curiose del mondo. Possono essere degli ottimi scrittori perchè riescono ad emozionare il lettore con le loro parole e quindi a lasciare un segno. Quando comunicano ti entrano dritto nel cuore. Comunicare per loro è fondamentale, solo cosi si sentono felici.

MERCURIO IN OTTAVA CASA

Questa è un’angolazione abbastanza problematica per mercurio. Qui gli strumenti dell’intelletto sono in grado di esplorare tutto ciò che è mistico, nascosto e misterioso. Gli individui con questo mercurio sono propensi a gravitare attorno a idee cospiratorie e a teorie oscure e rivoluzionarie. I loro pensieri sono tenebrosi. Sono a conoscenza di tante cose ma non ne parlano molto in giro, potrebbero far parte di circoli segreti e scambiarsi informazioni esoteriche. Comunicano in modo criptico e hanno problemi ad aprirsi e conversare con gli altri. Hanno una mentalità da detective.

VENERE IN NONA CASA

Venere in nona casa ci dice che il nativo è innamorato della propria integrità morale. Una delle persone più integerrime che potrete trovare. Amano la conoscenza e sono desiderosi di fare del bene in questo nostro mondo. Ameranno viaggiare, sopratutto se i viaggi riguardano mete sacre. Venere nella nona casa rende una persona molto acculturata o che cerca di educarsi in tutti i modi possibili. Avranno grande ammirazione per le compagnie a loro affini, per i professori, e per le guide spirituali. Sono molto interessati all’arte religiosa e all’aspetto estetico delle cerimonie liturgiche. Le loro relazioni sono caratterizzate da una continua voglia di imparare e di migliorare se stessi. Rifiutano di vedere il brutto nelle cose e vedono solo il lato più alto e nobile, o perlomeno cercano di farlo. Se stanno con una persona non è solamente per sesso ma perchè vedono nell’altro qualcosa di luminoso e divino. Non sopportano la banalità e lo squallore.

MARTE IN DECIMA CASA

Marte qui detiene una potenza direzionale. Dirige persone ambiziose e con la grinta necessaria per emergere dalla giungla che è la competizione della vita. La loro determinazione è incredibile, nel loro lavoro saranno temuti per la loro forza e volontà di ferro, sono delle macchine da guerra. Garantisce recognizione e successo nella carriera scelta.  Ma nonostante ciò il lavoro a volte può essere duro e devono stare attenti a non esaurirsi i neuroni.

GIOVE IN SETTIMA CASA

Come Giove governa gli insegnanti, i guru o altre figure influenti, quando si trova nella casa del legame, ci sono possibilità di incontrare un tale mentore. L’individuo sarà in profonda relazione con loro e riceverà molta ispirazione per la sua evoluzione personale. La figura del mentore giocherà un ruolo che cambia la vita del nativo e il suo carattere benevolo e caritatevole avrà un’influenza permanente sull’individuo. Giove in settima casa spingerà il nativo a farsi coinvolgere anche nella carità, o in attività di solidarietà e di aiuto agli altri.

SATURNO IN OTTAVA CASA

Ci può essere particolare interesse per gli aspetti più oscuri della vita (come esoterismo o indagine dei misteri, per esempio), e quasi sicuramente una gran quantità di serie riflessioni saranno rivolte a una possibile vita dopo la morte. Il soggetto imparerà dai propri errori e questa tendenza negativa sparirà gradualmente. Poiché siamo nella casa dello Scorpione, quindi in relazione con l’elemento Acqua, l’intuito sarà forte.

Lo so che è stato un giochetto da salotto, ma non mi sembra un profilo molto distante dalla figura dell’Alighieri!

Ma gradirei aggiungere una cosa veramente più seria di questa, e che riguarda la Liturgia del 2 giugno 1265 recuperata dallo stesso prof. Ceri:

liturgia del 2 giugno 1265

Il Salmo 33 e i versetti di Luca veramente chiudono l’infinito cerchio del Poema.

“Infatti io a voi donerò parole e sapienza, contro le quali non potranno resistere o contraddirvi tutti i vostri avversari. Sarete anche traditi dai parenti, dai fratelli, dai cognati e dagli amici, e tenteranno di uccidervi. Sarete odiati da tutti, a causa del mio nome. Ma ogni capello della vostra testa sarà salvo. Con le vostre sofferenze conquisterete le vostre anime”

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10. LA QUARTA DIMENSIONE

Ipercubo Cosmico in Quarta Dimensione

Ecco! Questo è un ipercubo in Quarta Dimensione in movimento… ruota nel vuoto come una navicella spaziale, e nel movimento rotante  espelle il cubo chiuso all’interno che andrà a trasformarsi per magia nel cubo contenitore espandendo la sua dimensione … e poi ancora sarebbe risucchiato all’interno per tornare piccolo… così all’infinito. Vedreste la magia di un politopo di Quarta Dimensione, chiamato Ipercubo o Tesseratto, un politopo cosmico: l’esplosione del quattro! Costituito da 24 facce bidimensionali quadrate, e da 8 facce 3-dimensionali cubiche. Il termine tesseratto, riferito alla realtà spaziale in cui vive l’uomo, è stato coniato e usato per la prima volta da Hinton nel 1888 nel suo libro Una nuova era del pensiero.

Tutti noi, in un modo o nell’altro abbiamo sentito parlare della Quarta Dimensione. Ma che cos’è? Tre dimensioni le conosciamo così come ce le hanno insegnate a scuola:

– il punto: senza dimensione

– la linea: 1 dimensione

– il piano: 2 dimensioni

– il solido: 3 dimensioni

Entrare in una nuova dimensione, significa muoversi in una nuova direzione. Un punto muovendosi nello spazio, in una direzione diversa da se stesso, uscendo da se stesso, lascia la traccia del suo movimento come una linea. Una linea muovendosi nello spazio, in una direzione diversa da se stessa, uscendo da se stessa, altrimenti si prolungherebbe solamente, lascia la traccia del suo movimento come un piano. Un piano muovendosi nello spazio in una direzione diversa da se stesso, uscendo da se stesso, lascia la traccia del suo movimento come un solido. Per conseguenza quando un solido si muove nello spazio in una direzione diversa da se stesso, quindi fuori da se stesso, lascia la traccia del suo movimento nella quarta dimensione. Per noi, esseri tridimensionali è difficile comprendere cosa sia la Quarta Dimensione, dovremmo uscire da noi stessi per comprendere questo concetto. Ma guardate nell’immagine come la proiezione cosmica dell’ipercubo in politopo regolare – cioè lo sviluppo della traccia del suo movimento circolare nello spazio –  sia capace di sviluppare un rosone gotico… ma che meraviglia!

Quarta e Quinta Dimensione

Questo mirabile oggetto, l’ipercubo in 4D, che per esistere ha bisogno di uno spazio in cui librarsi per poter uscire da se stesso e rientrare in se stesso… questo mirabile oggetto lo si può anche vedere con un disegno geometrico piano, in doppia dimensione, tipo questo in basso. Sì, la Stella di Barga… uguale all’oggetto che avete disegnato insieme a me, e adesso avete capito che nemmeno voi avreste potuto intuire quello che stavate facendo: la proiezione piana di un ipercubo cosmico! Questa Stella, scolpita in molte mattonelle, decora la bassa parete che separa la zona sacra del Duomo di Barga dall’ingresso.

La Stella di Barga e la proiezione piana dell’Ipercubo Cosmico

Forse, durante il suo esilio in Lucchesia, attorno al 1306, l’Alighieri è entrato nel Duomo di Barga, che invia un’ora che può aver secoli o anni o secondi… e forse ha visto questa formella che misteriosamente trattiene il segreto di un ipercubo cosmico: dell’esplosione del quattro.

O forse l’aveva già vista durante le lezioni di Brunetto Latini, grande pitagorico, e ha visitato il Duomo per cercar conferme…

O forse fin dall’infanzia l’ha sempre conosciuta e disegnata con il sestile, con il compasso che serviva ai giovani allievi per poter entrare nella grande magia della Geometria della Sfera. E questa Stella, sia ben chiaro, giunge dall’India, attraversa la Mesopotamia, tocca l’Egitto, e in Italia la porta lo stesso Pitagora. E poi saranno gli Arabi ad usarla nelle loro moschee, e trionferà in epoca gotica e rinascimentale e barocca in tutti gli edifici religiosi della Romana Chiesa.

Ma questo è soprattutto l’oggetto in cui vorrei entrare, per poter esplodere con lui nello spazio e imparare da lui che cosa vuol dire uscire da se stessi che, in greco, si dice estasi. Vocabolo che indica: spostamento, deviazione, uscita da se stessi.

Oggetto estatico, ipnotizzante come un mandala, lirico come una preghiera. Ma quando l’ho disegnato non sapevo nulla degli ipercubi, non sapevo nulla dei politopi cosmici, non sapevo nulla delle geometrie antieuclidee.

L’ho disegnato interrogando Dante per continuare insieme a lui il gioco magico della Sacra Dozzina… quel gioco che mi ha fatto scoprire i tre sistemi siderali nascosti dentro il Poema.

Nella mia totale ignoranza ho disegnato la Stella di Barga, simbolo esoterico dei Maestri Scultori Intagliatori… perfetta geometria secretata dalla Scuola di Pitagora, e dalla scuola Templare (il Duomo di Barga è di costruzione templare e risale al secolo undicesimo), Stella che potrebbe uscire da sé e perdersi nello spazio lasciando infinite tracce di rosoni gotici in Quarta Dimensione.

da DANTE E LA STELLA DI BARGA

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9. GUARDO IL DISEGNO: UN MANDALA

Struttura geometrica di base del Poema di Dante Alighieri

Guardo il disegno e comprendo che sono veramente davanti a un VOLUME, ma non nel senso di LIBRO, ma proprio nel più squisito senso geometrico del vocabolo: la sfera dell’Universo pitagorico, la sfera del poema dantesco, una sfera in proiezione piana. Sono davanti al mandala più incredibile che abbia mai visto in vita mia. I Mandala… col loro cerchio e i quadrati e i triangoli… rappresentano il simbolismo magico dell’Universo, nella costruzione entro il cerchio eterno della ruota della vita. Diffuso nella maggior parte delle religioni, riconducono l’uomo al Creatore, al Divino: Greci, Egizi, Navaho e i monaci buddisti tibetani hanno costruito Mandala. Anche il cristianesimo ha contribuito a inserire magnifici Mandala nelle finestre di vetro e nei rosoni delle chiese e delle cattedrali (uno dei più famosi è il Rosone Nord della cattedrale di Chartres in Francia).

Il rosone di Chartres

Con splendidi mosaici sono decorate anche le moschee musulmane. I Mandala sono antiche immagini magiche, simboliche, strumenti visivi meravigliosi per la meditazione, portano prosperità e buon auspicio e sono essenzialmente veicoli per la concentrazione della mente, che ha così la possibilità di liberarsi dalle sue catene abituali. Il loro alto valore terapeutico – come ci ha insegnato lo stesso Jung – consiste proprio nel proiettare i propri complessi mentali nel reticolo cosmico del Mandala, esorcizzando così la propria mente che si libera di tutte le sue ossessioni. L’intento è di portare l’uomo a trovare il suo centro.

L’universalità del Mandala, a partire dalla terra che è un mandala vivente, si rispecchia in una struttura di unicità: il principio del centro. Il centro (il numero 1 pitagorico) sta a simbolo della potenzialità eterna, nel centro giace l’eternità, inesauribile sorgente dalla quale tutti i semi hanno origine.

Il termine Mandala deriva dal sanscrito e significa Cerchio o Centro. Parola costituita da due parti, Manda che significa Essenza e La che può essere tradotto in Contenitore e quindi può anche significare Contenitore dell’Essenza. I Mandala stimolano inoltre la creatività, la percezione, l’immaginazione e la fantasia e ci aiutano a far emergere le nostre emozioni.

E si potrebbe anche dire che anche la Commedia stimola la creatività la percezione la fantasia… Posso azzardare? Sono davvero arrivata a sfiorare l’Essenza del Poema?

È questa la sua Geometria Occulta, che oscilla tra finito e infinito, e che ci restituisce il Poema finalmente per quello che è: immisurabile!

Guardo il disegno, spero di entrarci dentro. Di liberarlo dal dolore della seconda dimensione. Di farlo esplodere nell’aria, che salga al cielo in fretta e che dentro di sé – finalmente –  risucchi l’Universo… e che poi si faccia movimento di eterno respiro, e che l’Universo dal disegno esca e poi rientri di nuovo, espirando inspirando…

da DANTE E LA STELLA DI BARGA

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8. L’ORA DI BARGA

La Stella di Barga

Al mio cantuccio, donde non sento

se non le reste brusir del grano,

il suon dell’ore viene col vento

dal non veduto borgo montano:

suono che uguale, che blando cade,

come una voce che persuade.

Tu dici, E` l’ora; tu dici, E` tardi,

voce che cadi blanda dal cielo.

Ma un poco ancora lascia che guardi

l’albero, il ragno, l’ape, lo stelo,

cose ch’han molti secoli o un anno

o un’ora, e quelle nubi che vanno.

Giovanni Pascoli, L’ora di Barga

Una stella a otto punte, una formella di marmo che arriva dal Duomo di Barga che, probabilmente, ha affascinato Pascoli molto di più di quanto ci ha narrato. Duomo templare, duomo esoterico e pitagorico… di quali messaggi segreti e muti ha potuto arricchire un Poeta Orfico che gli ha dedicato la poesia di un’ora che non possiede un tempo? Con questo viatico torniamo al pitagorismo che fu di Pascoli, che fu di Dante: torniamo a cose che hanno molti secoli o forse un anno o forse un’ora, torniamo alla Sacra Dozzina, a quel 12 sacro che indica la via diritta agli iniziati raccogliendoli dentro lo smarrimento in una selva oscura per condurli al Risveglio e alla Verità.

Usando 12 versi per tre volte l’Alighieri disegna i cieli, criptandoli sotto il Poema, veramente tumulando nelle profondità del suo Tempio quei disegni che raccontano la reale didascalia del suo viaggio, dei quali peraltro torneremo a parlare, ma che già conoscono bene i Lettori di Stelle segrete e quiete.

Le avevo chiamate mappe tolemaiche quasi presagendo, e senza sapere perché, che davvero potessero contenere indicazioni per proseguire il viaggio, come fossero davvero mappe per cercare un tesoro. Il presagio si è avverato e sta per iniziare il secondo viaggio. E si parte ancora una volta da una domanda-bambina, da un semplice interrogativo: se con 12 versi, carissimo Dante, hai disegnato per tre volte i cieli… che potrebbe accadere se raccogliessimo i Canti riordinandoli in Sacre Dozzine?

Il risultato della ricerca ha portato a questo disegno che è il vero protagonista di questo libro, perché per spiegarlo ci vuole un libro intero.

Struttura geometrica di base del Poema di Dante Alighieri

Tu dici, È l’ora; tu dici, È tardi, voce che cadi blanda dal cielo… ma non ci serve la ferita del tempo umano che con lancette ci trafigge il cuore e che c’inchioda al presto e al tardi come in croce: lasciamo che le cose ci brillino in mano con la lentezza infinita dell’Essere, senza sospettare sotto i nostri piedi il precipizio del Divenire. Lentamente andremo… perché ci attende l’Universo.

da DANTE E LA STELLA DI BARGA

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7. FONDATA SUL LAVORO

LA COMMEDIA DI DANTE ALIGHIERI È UNA REPUBBLICA INIZIATICA FONDATA SUL LAVORO

Sento l’impulso di doverlo scrivere. Scegliendo questo luogo virtuale, aereo, IMMATERIALE, proprio perché la massima perfezione della MATERIA è la totale assenza di MATERIA. E perché così le mie parole possano raggiungerlo ovunque dove si trovi, e lo rendano felice visto che gli garberebbe tanto sentirselo dire.

Il Poema, anche se qualcuno può torcere il naso, è per davvero una RES PUBLICA. Cosa che riguarda noi tutti, DONATA a noi senz’ombra di distinzione, e dal Poeta divulgata completamente priva dall’ipoteca del danaro, del lucro o del mercimonio.

Ed è anche strada di INIZIAZIONE alla nostra vita in terra, intensamente rappresentata dal travagliato cammino del dolore per una felicità da conquistare.

Se mai continga che ‘l poema sacro 
al quale ha posto mano e cielo e terra, 
sì che m’ha fatto per molti anni macro,         3

vinca la crudeltà che fuor mi serra 
del bello ovile ov’io dormi’ agnello, 
nimico ai lupi che li danno guerra;                   6

con altra voce omai, con altro vello 
ritornerò poeta, e in sul fonte 
del mio battesmo prenderò ‘l cappello;             9

però che ne la fede, che fa conte 
l’anime a Dio, quivi intra’ io, e poi 
Pietro per lei sì mi girò la fronte.                     12

Se mai avverrà che il poema sacro al quale hanno cooperato Cielo e Terra, e che mi ha consumato fisicamente per molti anni, vinca la crudeltà che mi bandisce dal bell’ovile (Firenze) in cui io dormii come agnello (in cui sono nato e cresciuto), nemico ai lupi che gli fanno guerra; con voce ben diversa e i capelli canuti ritornerò lì come poeta, e cingerò le tempie con l’alloro poetico sul fonte del mio battesimo (nel battistero di S. Giovanni); poiché fu lì che io entrai nella fede, che rende le anime vicine a Dio, e in seguito san Pietro girò intorno alla mia fronte dopo avermi esaminato su quella virtù.

Si deve giungere al XXV del Paradiso, al canto della SPERANZA, all’incontro con san Giacomo di Compostela, per sentire parlare l’Alighieri di se stesso, del suo lungo lavoro che gli ha segnato l’intera esistenza, pensato e germogliato fin dalla sua giovinezza, e non ce la facciamo più a sentir dire dai Tradizionalisti che tutto è accaduto negli anni dell’esilio. Per la composizione definitiva certamente concordo! Ma il PROGETTO santiddio… a quale data può risalire? Ci rimane inchiodato nel cuore questo mistero! Dalla fine della VITA NOVA, quando promette di scrivere un Poema che nessuno ha mai scritto per rendere onore ad una donna: a Beatrice, donna della sua anima? O fin dall’adolescenza, quando qualcuno gli ha insegnato il segreto della circonferenza e del miracoloso ottagono che abbraccia il Cielo alla Terra? O quando  ha inverato il suo presagio nel nome dei suoi tre figli, Pietro Giacomo e Giovanni, gli apostoli prediletti dal Cristo, con i quali lui parla nel Cielo delle Stelle Fisse?

Eppure lascia scritto nel Convivio che l’evento del Tabor, quando il Cristo manifesta ai suoi tre amati discepoli il suo Corpo di Gloria, ci insegna che non dovremmo mai ardire di penetrare le secretissime cose!

Ma il Poeta arditamente le penetra, e offre ai tre apostoli l’unica risposta esatta che un poeta può offrire: la FEDE è  il mio  lavoro, la SPERANZA è il mio lavoro, la CARITA’ è il mio lavoro!

Tutta la fatica che l’ha reso macro nel compimento della sua Opera. L’abbruttimento del fabbro in officina, o del minatore che prende a picconate il ventre della terra, la roccia del SENSO, per estrarre le parole oneste e giuste. Le spalle incurvate, il suo aspetto ischeletrito e provato, l’indebolimento del suo corpo, e contemporaneamente la conquistata grandezza del suo Spirito, perché macro, in greco, vuole anche dire grande ed infinito!

San Pietro gioiosamente danza attorno al corpo di Dante disegnando il cerchio della perfezione, perché gli ha offerto la risposta perfetta! Ma l’Alighieri precisamente indica e approfondisce il gesto di quella gioia: sì mi girò la FRONTE, e cioè danzò attorno all’unico nostro luogo in cui lo SPIRITO si ANIMA per entrare in AZIONE.

Cosa che, per tutti gli Umani, deve essere necessariamente declinata con il LAVORO.

 

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6. DANTE E LA LIBERTÀ

… Avete letto l’addio di Virgilio. Il XXVII è la stagione degli addii. Ma Dante non capisce bene che queste sono le parole del commiato, e, in questo senso, ci sembra ancora un po’ capretta. Ma forse era proprio sua intenzione di giocare questa parte.

Virgilio gli dona la Primavera: la viriditas dei Dioscuri non è ancora terminata, quella fase alchemica che non è più neranera, ma nemmeno bianca; gli regala l’erba i fiori i teneri arbusti sui quali potrà sedersi o camminare a seconda del suo volere e del suo piacere. L’eterna primavera dell’Eden dove tutto sempre nasce, ma non muore mai, e qui Dante sarà libero di muoversi.

Non aspettar mio dir più né mio cenno;

libero, dritto e sano è tuo arbitrio,

e fallo fora non fare a suo senno:

per ch’io te sovra te corono e mitrio».    142

Non avrai altre parole, altri gesti da me: la libertà che cercavi l’hai trovata; il tuo potere di scegliere è diventato libero, giusto e incorruttibile e sarebbe un errore tremendo non usarlo: per cui io sopra la tua testa ti metto due corone: quella imperiale e quella papale.

Eccola qua in un disegno di Dalì: la DOPPIA REGALITA’ DELL’ANIMA LIBERA, ma anche al grande pittore è sfuggito il particolare delle due corone, doppie, geminate, consapevole dono dei Dioscuri… una che appartiene alla Parola e l’altra che appartiene al Silenzio. Ciò che può essere detto e ciò che non può essere detto, ciò che è Sapere e ciò che è Sapienza, ciò che è visibile e ciò che è invisibile.

Viene celebrato un altro matrimonio sacro, oltre al presagio dell’Union Sacrée che avverrà con Beatrice: si celebra l’unione di due Poteri che entrambi devono appartenere a un uomo libero.

Io tenni ambo le chiavi del cor di Federigo… diceva Pier delle Vigne del suo Imperatore e questa eco risonante esce dal luogo diametralmente opposto al luogo in cui ci troviamo: tracciate il diametro 12-13/62-63, arriva dal Basso Inferno, arriva dal momento in cui Dante ci insinua il sospetto che per ogni uomo c’è il diritto di possedere due chiavi che aprano il cuore, i due poteri dell’uomo libero. Allegoricamente rappresentati con la figura del Papa e con quella dell’Imperatore. Controllate i lati 13-37-62 e scopriamo cosa si sta irradiando nonostante le lunghe distanze: nel 13 si parla di un Imperatore che deve essere per forza libero se davvero possiede i due poteri. Nel 36 Casella parla di Roma, là dove l’angelo raccoglie le anime purganti, e qui abita un Papa che avoca a sé il possesso di due poteri, sia quello spirituale che quello temporale e dove pure adesso i due poteri sono espressi anche se separati… già, città geminata. Alla fine del 61 Dante viene incoronato libero con queste due corone (Quarto Grado dei Misteri Orfico-Pitagorici, il grado della Corona). Abbiamo due strade: o questa semantizzazione è del tutto arbitraria ed è puramente casuale la disposizione dei canti, dentro un perfetto triangolo rettangolo che è gnomone della giustizia universale (cfr. dialogo 35-85 ne IL VALZER DEI CANTI STELLATI)… oppure dovrà esserci una spiegazione!

 

Entriamo nel territorio delle spine: che esista  un livello anagogico anche nell’impostazione del progetto politico dantesco? Ne risulterebbe che il punto più alto da raggiungere per ogni individuo sarebbe quello di diventare imperatore di se stesso e papa di se stesso. Anche oggi, anche ora che sto scrivendo, questa è una gravissima eresia. Dove finirebbero le demagogie, i populismi, i consensi delle masse, le manipolazioni dei cervelli, le istituzionali devozioni alle chiese… dove finirebbero tutti questi raffinatissimi strumenti di potere? E dove finirebbe la preziosa speculazione sulla separazione dei due poteri espressa nel Monarchia con la rappresentazione dei due Soli Separati, se poi queste due corone sono collocate su un’unica testa? A questo punto mi verrebbe da chiedere… proprio certi che Dante fosse medievale??? Di quante altezze dobbiamo ancora salire per comprenderlo? O forse non lo comprendiamo perché le risposte ci sono sempre state negate e censurate, risposte che appartengono a quella Sapienza che deve essere taciuta.

Cosa può importare oggi sapere se Dante fosse càtaro (l’Union Sacrée è catara), alchimista (Rebis), pitagorico o templare o mistico o sufi o massone o gnostico o Fedele d’Amore??? Cosa può importare se non sappiamo affondare il bisturi nella piaga che ci fa più del male… dentro il dolore della Libertà? Non studiamo più questo Dante! Guardiamolo ascoltiamolo FACCIAMOLO PARLARE! Rincorriamone i sogni e le visioni!

Lo so: il rito di Virgilio esplode nei nostri occhi come la grande utopia del mondo, e ben per questo dovremmo indagarne le ragioni, anche perché, per entrare nell’Eden, bisogna essere uomini liberi. Vi riporto a Barga, ma non per vedere le stelle: andremo a visitare le due corone di libertà.

Bassorilievo di Biduino sul portale laterale dedicato al miracolo di San Nicola, il miracolo dello Scifo d’oro, XII secolo. I due templari posizionati ai lati lo proteggono, quello di destra è stato ferito a morte dalle bombe alleate. Morto con onore e con la spada in mano se è riuscito a conservare uno dei grandi segreti templari. Questo miracolo è stato istoriato in alcune chiese gotiche dall’Anno Mille fino al dodicesimo secolo e poi la sua rappresentazione è scomparsa insieme alla fine dei templari. Il Duomo di Barga è dedicato a San Cristoforo, protettore dei viaggiatori, e qui pregavano i pellegrini della Francigena e forse anche i pellegrini di altri viaggi. La leggenda racconta che durante le Crociate il fanciullo Adeodato fosse stato rapito dall’Emiro Saraceno e costretto a servire il potente usando uno scifo d’oro, un vaso di fattura greca.

Il ragazzo prega San Nicola di liberarlo e così il giorno dopo arriva il Santo, lo prende per i capelli e lo riporta alla madre che si scioglie in lacrime di felicità e poi Adeodato servirà al banchetto del re cattolico usando lo stesso vaso d’oro. Attivate l’aisthesis perché entriamo in un pozzo profondo di simbologie. Che Dante abbia visto questo bassorilievo? Io lo so e ne sono certa, ma non ne ho le prove. Se uscite dalla letteralità della leggenda e guardate le immagini, immediatamente vedrete che si tratta di due banchetti allegorici: a sinistra siedono i commensali del Potere Temporale e a destra quelli del Potere Spirituale, ma se giriamo le spalle al bassorilievo ci collochiamo nella loro esatta posizione. E quindi a Destra il mondo materico del Potere Temporale, e a Sinistra il mondo conventuale del Potere Spirituale. Così come accadrà nell’Eden: Beatrice (Puro Spirito) appoggerà il fianco sul lato sinistro del Carro, e Dante (corpo vivo) si metterà alla destra del Carro.

La figura incoronata di destra siede sopra un’architettura tipicamente regale e donne e uomini sono seduti accanto a lui, il re appoggia il mento sulla mano, pensieroso di tutti i fastidi che gli procura l’onere del suo compito. Calza stivali da guerriero. E tutti e cinque i personaggi perdono il loro sguardo ovunque, muti e senza guardarsi mai fra di loro. La figura incoronata di sinistra siede su un frammento di chiostro conventuale, non tiene gli occhi bassi nei suoi pensieri, ma guarda alto mentre la sua mano si pone in gesto di benedizione e forse sta benedicendo il pane sopra una tavola più modesta e non ci sono donne alla sua tavola. Calza pantofole monacali e sulla sua testa vedrete le campanelle che segnano i tempi di un convento. Il commensale alla sua sinistra lo ascolta compunto, gli altri tre guardano verso di lui in segno di devozione.

Non sono due banchetti di re appartenenti a religioni diverse: sono due Poteri a confronto. Lo scifo appartiene all’epoca greca precristiana e nel bassorilievo è chiuso da un coperchio ed è d’oro. Con queste caratteristiche non può essere altro che un vaso alchemico, il contenitore dell’anima, il nostro privatissimo Sacro Graal.

L’anima di Adeodato (affidato a Dio e, dal punto di vista templare, affidato alla perfezione) è stata rapita dal mondo basso dei distratti opportunisti egotici arroganti esemplari del potere politico comunemente inteso: quello dell’avidità dei lupi. Verrà tirata per i capelli e ricondotta al servizio dello Spirito, ma così doveva accadere perché è necessaria l’esperienza mondana per produrre l’opportunità della scelta, e infatti Adeodato sceglie di invocare l’intervento del Santo.

Dal punto di vista iniziatico è doveroso immergersi nel mondo, la misura della mondanità è il punto d’inizio del cammino, se non altro per continuare a reggersi nel mondo con sapienza, cioè procurandoci il minimo dolore. Dal punto di vista del perfezionamento di sé, è doveroso immergersi nella dimensione del sacro, del mistero, della spiritualità e della virtù, se non altro per continuare a reggersi nella vita con sapienza, cioè procurandoci il minimo dolore.

Già, ma detto così dove sta la libertà? Nel nostro linguaggio civile progredito e moderno la libertà è un diritto… nel linguaggio sapienziale la libertà è un servizio. Così scrive Dante nel XVI del Purgatorio:

A maggior forza e a miglior natura

liberi soggiacete; e quella cria

la mente in voi, che ‘l ciel non ha in sua cura.

 Sta parlando Marco Lombardo, vescovo e càtaro… voi uomini da uomini liberi siete sottomessi a una forza maggiore di voi e a una natura migliore; e questa forza crea dentro di voi l’anima intellettiva della quale gli influssi astrali non si preoccupano minimamente.

E per Dante la sede di questo intelletto è l’anima. Siamo sottomessi liberi… ma non è un ossimoro, anche se così appare. Vuol dire che per essere liberi occorre sottometterci alla libertà, che, peraltro, è un dono d’Amore, ma tutto da conquistare! Dante cercava la libertà e l’ha trovata quando Virgilio lo sottomette alle due corone (io sovra te… e quindi tu sotto), lo sottomette alle leggi della libertà… equilibrio armonia serenità bellezza pace giustizia sapienza prudenza elevazione amore rispetto decoro dignità divina… tutte quelle leggi alle quali Imperatori e Papi dovrebbero essere sottomessi. E per sottomettersi alla libertà bisogna sceglierlo. Sento già il coro… maccome? I bisogni primari, la povertà, le ingiustizie, la disoccupazione… ma che razza di bello e inutile discorso!!!! Vi potrei rispondere che ho visto una miriade di ricchi crudelmente incatenati e una altrettanto quantità di poveri incredibilmente liberi… ma poi dai Dioscuri non ve l’aspettavate un perfido e sublime REGALO DOPPIO??? Scegliere di essere sottomessi alle leggi della Libertà che regolano la materia (Imperatore) e lo spirito (Papa) e mettere al servizio del mondo questa Libertà… ricordatevelo per i canti successivi!

I Catari e i Templari lasciarono sulle chiese questi strani segni, e infatti da un Re e da un Pontefice furono massacrati.

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5. IL CERCHIO DELLA VITA

Il cerchio è la psiche dell’Universo. Pitagora

Non esiste in tutto l’Universo qualcosa che non possa essere riconducibile a un punto, a una linea, a un triangolo… così diceva Pitagora. Ma che dire del cerchio? Inarrivabile perfezione rinchiusa fra due immisurabili misteri: il suo centro – punto senza dimensione – e la sua circonferenza che non può mai giungere alla sua quadratura. Nel cielo di Giove, nel cielo della Geometria come si riteneva ai tempi di Dante, il dio olimpico regala ai mortali la consapevolezza preziosa del Limite… agli uomini che tutto possono contemplare, ma che non tutto possono misurare. Che dono raffinato se ancora conservassimo negli occhi tutti i nostri interrogativi dell’alba dei millenni… quando il respiro degli uomini ancora si espandeva al cielo in dimensione circolare raggiungendo le stelle e la Divina Ruota dello Zodiaco, e tutti i mortali racchiusi si sentivano dentro l’armonia delle sfere concentriche. Quando al Cerchio Infinito si consegnava il Tutto dell’Universo. Forse in qualche parte profonda di noi tratteniamo questa memoria.

Il Fiore della Vita è un Simbolo che accompagna da millenni gli uomini, un decoro, un amuleto, un gioco infantile del compasso, un modello dell’Infinito che ci abita, un ricordo di armonie… qualsiasi cosa sia ci accompagna e ci deposita al Cerchio. E al Cerchio necessariamente si arriva se ci si pone il problema di raccogliere 100 Canti in Sacre Dozzine.

Avremmo 8 dozzine (96 canti) con il resto di 4. Con questo unico dato numerico come potremmo giungere a tracciare uno schema che abbia una qualche corrispondenza con una eventuale Geometria del Poema? Potremmo risolvere con l’aiuto di Pitagora e del suo modello cosmologico: l’infinito Cerchio (ma sarebbe una sfera, e quindi stiamo parlando in proiezione piana) che contiene l’Universo e che nel suo centro contiene la Sacra Tetrade, il quadrato mistico formato dai 4 elementi – terra aria fuoco acqua – e che a sua volta contiene il punto dell’1: colui che sta nel mezzo delle cose, il punto dell’origine, l’unico istante del Tempo, il generatore del TUTTO: il punto senza dimensione dove si colloca l’ago del compasso. Oggi diremmo: l’inimmaginabile punto in cui è esploso il Big Bang. Un ottagono regolare inscritto in un cerchio è il primo traguardo che si raggiunge disponendo su ogni lato dell’ottagono 12 Canti.

Ecco il risultato, e non sottovalutatelo… fosse in mio potere cancellare il tempo, entrare nei secoli come si entra nel minuto, prendervi tutti insieme e trasportarvi dentro magie che ci hanno preceduto e che sono scomparse… indossare gli occhi di un architetto gotico, trasformarmi nelle dita di uno scalpellino del marmo, sognare un pavimento cosmatesco prima che venga disposto… quante migliaia di questi ottagoni potrei mettere ai vostri piedi per farvi stupire, per regalarvi l’intuizione che senza un ottagono tracciato così nel Medio Evo … usando il sestile… non avremmo nulla più da vedere… né il labirinto di Chartres e nemmeno Chartres stessa… né i pavimenti delle chiese italiane, né le greche di marmo… né la celestialità dei rosoni…

Il Labirinto di Chartres

Vi regalo anche Castel del Monte, e vi lascio soli per qualche minuto perché possiate ascoltare il cuore di Federico che batte forte sulle sue carte, sul suo compasso, sognando la perfezione del suo cielo, rincorrendo in silenzio e fra i denti masticando il segreto pitagorico dell’8, dell’infinito bene, della Bellezza Suprema… e della mente umana che a quella divina si specchia.

L’Ottagono del Castello di Federico II

Lasciate che anche il vostro cuore batta forte nell’alzare gli occhi al cielo per sentirvi finiti-infiniti dentro la stanza del mondo, e ascoltate dentro di voi girar la chiave seconda del cor di Federigo, quella del Mistero. E poi volate con l’anima insieme agli occhi di un Dante bambino che vede nella cupola del bel san Giovanni tutte le gerarchie angeliche e il Cristo pancreatore, nell’aureo trionfo del Paradiso al quale lui stesso, più tardi, donerà parole e musica… ancora senza saperlo… Vi giungano da lontano lo stupore e la meraviglia che per strada abbiamo perduto.

Sono due cose costruite prima che Dante nascesse: poteva restarne immune?

da DANTE E LA STELLA DI BARGA